Cristina Martinico

© Archivio G. Virgilio

Anche nella Misiliscemi del passato si festeggiava il Carnevale e la “preparazione” a questo atteso momento, da trascorrere nel divertimento, iniziava molto prima rispetto a quando sarebbe arrivata la festa. Dai racconti degli anziani, che partono dal Secondo Dopoguerra e si sviluppano nei decenni successivi, scopriamo che alcuni abitanti delle contrade iniziavano a travestirsi già tantissimo tempo prima del giorno di Carnevale e così mascherati facevano il giro dei dintorni, bussando alle porte dei vicini. I travestimenti erano improvvisati e fatti di vecchi abiti, cappotti, cappelli e maschere disegnate sul cartone, ritagliate e indossate alla buona, perché non c’erano le risorse economiche per acquistarne di confezionate. L’arrivo del Carnevale era vissuto con entusiasmo perché sarebbe stato un momento in cui ci si sarebbe divertiti, svagati e ci si sarebbe svegliati dalla monotonia della quotidianità. Un periodo che avrebbe movimentato la vita delle famiglie che abitavano le contrade, prive di occasioni e luoghi dove poter ballare quando se ne aveva il desiderio, fatta eccezione ad esempio per le feste di matrimonio.

I NANNI DI CANNALIVARI
La settimana che precedeva la domenica di Carnevale era caratterizzata dalla tradizione di preparare ed esporre i “Nanni di Cannalivari”. La signora Pia, oggi una simpatica ottontenne è stata sempre una grandissima appassionata del periodo carnevalesco, così come possiamo vedere in una rara foto che la ritrae da ragazza, vestita con abiti tradizionali siciliani mentre balla insieme alla cucina travestita da Pierrot. Ci racconta che per tantissimi anni lei stessa si è occupata di realizzare i “nanni” a Pietretagliate; si trattava di due pupazzi che ricordavano le figure di un anziano e un’anziana, due nonni (“nanni”) appunto, realizzati riempiendo di paglia dei vecchi abiti: un paio di pantaloni e una giacca per lui, una gonna e una maglia per lei. Così facendo si creavano dei veri e propri fantocci ai quali venivano infine applicate delle maschere disegnate con il cartone, più in là nel tempo sostituite con maschere di Carnevale che riproducevano dei veri volti. Il “nanno” veniva anche munito di un cappello, una finta pipa e l’immancabile bastone di legno posizionato tra le ginocchia e sul quale si facevano appoggiare le mani. Appena pronti i fantocci venivano collocati, seduti uno accanto all’altra, davanti alla porta di casa o in un punto molto di passaggio, in modo che chiunque transitasse da lì potesse vederli e lì rimanevano fino al martedì prima delle Ceneri, giorno in cui si sarebbe messo in scena un finto funerale, con tanto di trasporto in giro per le vie della contrada. Così parenti e amici fingevano di piangere disperati la morte dei due “nanni” per darli poi alle fiamme la stessa sera come da tradizione, prima del mercoledì delle ceneri. Questo era ciò che rimaneva di credenze pagane e un’usanza presente in molte culture quella di preparare dei fantocci che venivano bruciati, ciò indicava il passaggio da un anno all’altro, l’idea della morte che precede la rinascita. Come ricorda la signora Pia: “Negli ultimi anni in cui mi sono occupata di realizzarli facevamo la colletta tra le famiglie della contrada per acquistare degli accessori di Carnevale con cui abbellirli, come ad esempio delle maschere che costavano un bel po’ perché riproducevano dei veri volti, molto realistici. Figuratevi che un anno le hanno rubate, lasciandoli senza faccia!”. I “Nanni di Cannalivari”, seppur in piccolissimo numero, sono rimasti in uso fino qualche decennio fa a Misiliscemi, al giorno d’oggi purtroppo è davvero difficile incontrarli agli angoli delle strade percorrendo le vie che attraversano il territorio, perché coloro che si divertivano a realizzarli sono pian piano diventati molto anziani o sono scomparsi ed evidentemente questa bellissima tradizione non è stata portata avanti dalle generazioni successive.

LA “SCANNATURA” DEL MAIALE E IL PRANZO DEL GIOVEDÌ GRASSO
La tradizione culinaria di Carnevale del passato a Misiliscemi e tutt’oggi ancora in voga, ma solo come pietanza da preparare e non più come rito familiare, vedeva come protagonista il maiale. Alcune famiglie lo acquistavano piccolino nel periodo di settembre/ottobre e lo nutrivano con fave, crusca e scarti di verdure per far si che arrivasse “beddo nuddicato” al Giovedì Grasso, momento per lui purtroppo poco felice perché la mattina di quel giorno si sarebbe proceduto con il rito della “scannatura”. Non tutti erano in grado di eseguire la macellazione, perciò spesso veniva chiamato un parente o un amico capace di occuparsene che veniva poi ripagato con alcuni tagli di carne, talvolta si donava la testa come segno di riconoscenza, anche se per lo più veniva utilizzata come ingrediente principale per il pranzo tradizionale di quel giorno: il cous cous con carne di maiale e broccoli. E per il detto che recita “Del maiale non si butta via niente”, nella giornata del Giovedì Grasso si procedeva ricavando diversi tagli di carne, alcuni da consumare fritti nell’immediato perché deperibili – visto che un tempo non esistevano ancora i frigoriferi o i congelatori ed in seguito molte famiglie non li possedevano ancora – e altri trasformandoli seguendo dei metodi che permettevano di conservare più a lungo possibile la carne macellata. Da qui la salsiccia pasqualora che vede la carne di maiale condita con sale e pepe e lasciata ad essiccare, pronta poi da consumare a Pasqua. Tutta la famiglia partecipava alle operazioni necessarie, le donne solitamente si occupavano della preparazione del “sanguinaccio”, antica e deliziosa ricetta (a detta di molti) che come dice il nome stesso, era composta dal sangue del maiale condito con uva passa, zucchero, cioccolata e mandorle tritate. Composto preparato, conservato e pronto da tagliare a fette da friggere all’occasione. Anche i bambini venivano coinvolti in quello che oggi ci appare come un macabro rito, ma che nella cultura antica era parte integrante della vita rurale. 

LE “ASSOCIAZIONI P’ABBALLARI”
Nella Misiliscemi del Secondo Dopoguerra, zona totalmente rurale o quasi, non esistevano le “sale da ballo”, nate poi in seguito verso la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta e dunque in ogni contrada ci si organizzava “a parti di casa” tra parenti e vicini. Si creavano quelle che venivano dette “Associazioni p’abballari” o “Associazioni pi Cannalivari”. Si trattava di un gruppo di famiglie che decideva di riunirsi a casa di chi, fra loro, possedeva un’abitazione con una stanza da pranzo o un soggiorno più grande degli altri e che per l’occasione “sbarazzava” per creare il maggior spazio possibile ad accogliere gente. Ci si riuniva quindi per le tre serate di sabato, domenica e lunedì e poi ancora per la domenica successiva, chiamata “a Duminichina – all’ottu jorna”, con il corso del tempo poi, le serate iniziarono a svolgevarsi dalla domenica al martedì, per concludersi poi il sabato con il Carnevalone. 

Tutto iniziava intorno alle otto di sera, chi aveva un grammofono “ca trumma” lo portava insieme alla propria collezione di 78 giri, composta di cantanti o autori diversi – tra i quali anche Totò – che venivano riproposti a rotazione. Ognuno contribuiva portando alla festa qualcosa da sgranocchiare, preparata appositamente per l’occasione: “ciciri e favi caliati”, mustazzoli e biscotti fatti in casa, cose semplici legate alla tradizione contadina, ma condivise con grande spirito comunitario. Si andava avanti ad oltranza fino a notte fonda, le danze erano organizzate per “plassi”, mediamente di 7/8 coppie per  ballo e ogni tanto si annunciava “Abballo di masculi!”, aperto solo a coppie di uomini e talvolta anche “Abballu pi ll’ospiti!”. Nella stanza attigua gli uomini giocavano a carte e fumavano sigarette Alfa e Nazionali e alcuni anche il sigaro.

Molti abitanti delle contrade si mascheravano e facevano il giro delle “Associazioni”, ma non venivano ammessi alla festa se almeno uno di loro non si faceva riconoscere togliendo la maschera. Le ragazze parlavano fra loro durante il giorno per sapere come si sarebbe vestita l’altra e chi poteva permetterselo preparava un abito diverso per ogni serata. Infine, quando si spegneva il grammofono e la maggior parte dei partecipanti andava via e restavano i più intimi, si improvvisava una spaghettata aglio, olio e peperoncino oppure un’amatissima pasta “cu l’agghia”. Poi, intorno alle sei del mattino ci si avviava verso casa e spesso sulla via del ritorno capitava di incontrare i “rimunnatura” in procinto di recarsi nei campi per il lavoro, mentre chi si era divertito per tutta la notte andava a recuperare qualche ora di sonno in vista della prossima imminente serata. La tradizione delle “Associazioni” è rimasta in voga per molto tempo a Misiliscemi ed è continuata anche quando iniziarono a sorgere i primi luoghi dove potersi recare per le serate di Carnevale.

LE SERATE DI CARNEVALE PRESSO LE “SALE” E I CINEMA DI MISILISCEMI
Negli anni ’60 iniziarono a sorgere in giro per le contrade, le cosiddette “sale” come quella dello zu Ciccio D’Antoni a Palma, grandi stanzoni o una sorta di magazzini attrezzati per le occasioni, che venivano affittate per feste di matrimonio o altri eventi simili e dunque anche per le serate di ballo nel periodo di Carnevale. E ancora, in molti fanno memoria delle serate trascorse al Cinema Ausonia di Rilievo o al Cinema Odeon di Marausa, chi voleva partecipare doveva acquistare il biglietto con molto anticipo perché c’era il rischio di non trovare posto per entrare. E i partecipanti delle serate al cinema di Marausa ricordano ancora il pavimento liscio e scivoloso perché realizzato un po’ in discesa verso lo schermo, punto nel quale si piazzavano i “sunatura”, gruppi musicali che venivano ingaggiati per animare le serate e alcuni dei quali erano composti da musicisti delle contrade, come i gruppi di cui faceva parte Franceschino Di Stefano di Salinagrande e di cui ci ha raccontato il figlio Enzo nel bellissimo articolo “I sunatura degli anni Sessanta di Misiliscemi“.

Le ragazze, come sempre, preparavano un abitino per sera, ma adesso i modelli si ispiravano a quelli delle cantanti del Festival di Sanremo che precedeva di poco il Carnevale. Come ci racconta Chelina: “Vedevamo il Festival alla televisione e poi andavamo dalla sarta o da chi sapeva cucire e spiegavamo come volevamo confezionato l’abito, dicendo ‘lo voglio come quello di Gigliola Cinquetti’ ad esempio”. E continua: “La terza sera di Carnevale si eleggeva anche Miss Carnevale, che doveva saper ballare molto bene e soprattutto doveva essere in coppia con un cavaliere esperto ballerino per avere maggiori possibilità di vittoria, perché era l’uomo che ‘portava’ la donna. Ci si iscriveva alla gara e alla fine la giuria decretava la coppia vincitrice, da ragazza anch’io vinsi una volta, ricordo che ero andata a ballare in una sala e come premio mi regalarono un biglietto augurale e un anellino d’oro”. Ma alle serate non ci si andava solo per ballare, c’erano i ragazzi che andavano per guardare, avvicinarsi e conoscere le ragazze e le ragazze per mettersi in bella mostra, perché come si diceva allora: “I matrimoni si faciano pi Cannalivari”! Molte coppie si sono formate in quelle occasioni, perché per fortuna i tempi erano cambiati rispetto al passato e c’era finalmente maggiore possibilità di scegliere liberamente il proprio futuro marito o la propria moglie. 

Chissà quanti anziani che ancora oggi vivono a Misiliscemi possono ricondurre le origini del proprio matrimonio ad una di quelle serate di Carnevale al cinema. Momenti che in molti ricordano divertiti e con lo sguardo illuminato dalle scene del passato, perché vissuto come un periodo dell’anno atteso con grande trepidazione. Occasione di svago per le famiglie, ma soprattutto per i ragazzi e i bambini delle contrade prive di luoghi interessanti dove trascorrere il tempo libero e che hanno vissuto un’infanzia e un’adolescenza completamente differente rispetto a chi è cresciuto vivendo in città e dunque avendo più opportunità. Ma i racconti più antichi ascoltati ci parlano soprattutto di una bellissima realtà rurale fatta di poche possibilità, ma dalla quale ci giunge la massima espressione di quello che sta alla origini della “costruzione” di Misiliscemi: lo spirito di condivisione. Ciascuno contribuiva mettendo a disposizione ciò che poteva con chi gli stava accanto, senza perciò escludere nessuno e anche chi non aveva nulla sarà stato certamente invitato a partecipare alla festa.


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