Lidia Mangiarotti
Fra le campagne della provincia trapanese e nel territorio di Misiliscemi in particolare, nel mese di novembre fra l’erba fresca si vedono filari di bellissimi fiori viola, sono i fiori di zafferano. Una spezia così lontana nel tempo che ci evoca un oriente apparentemente distante da noi, ma scopriamo invece che fra ulivi e vigneti, il nostro territorio è vocato anche alla coltivazione dello zafferano e diverse sono ormai le aziende che si stanno cimentando con questa cultivar.
Come mai sia venuto in mente a me di coltivarlo in un terreno nella contrada di Rilievo è storia lunga, le cose nascono sempre fra caso e predestinazione. Ogni albero ha radici lontane, mio padre era floricoltore e quel terreno me lo ricordo da bambina come un giardino arabo, campi di fiori irrigati a canale – pratica irrigua che la penuria e l’accortezza nell’uso dell’acqua ora ci ha fatto dimenticare – sostituiti da tanti tubicini di plastica con goccioline che scendono. Invece io ricordo lo scorrere dell’acqua in quei canali, i profumi dei fiori… poi una morte improvvisa, terreni abbandonati e rovi che ricoprono tutto.
Divento adulta, mi laureo in geologia, prendo il volo, che per un siciliano vuol dire prendere un aereo e cercare lavoro altrove, lontano dai propri affetti e dai luoghi che ama. Quando torno quei rovi iniziano a pungermi il cuore, l’abbandono diventa dolore, allora bisogna cercare un rimedio, una medicina al dolore. E così inizio a riprendermi cura di quel giardino, levo le erbacce fisiche ma anche mentali, taglio, poto, brucio, seleziono gli alberi che vale la pena lasciare ed estirpo quelli invadenti. Ridisegno il giardino, pianto lavande e sterlizie al bordo del canale della duchessa, creo una zona di piante aromatiche, una di alberi da frutto e pianto alberi ornamentali, alcuni seccano, faccio errori in giardino ma è un’operare sano che mi fa bene, è un tempo personalissimo di silenzio. Scopri che coltivi la tua anima e che il prodotto finale non è il fine.
Ma il terreno è tanto, come posso impiegarlo? Un’amica che era dottoranda alla Facoltà di Agraria di Catania, mi parla di studi e progetti che stanno facendo nel territorio ennese per il recupero di terreni incolti da parte di imprenditoria femminile con la coltivazione dello zafferano. Ora, dello zafferano io sapevo solo due cose, che l’avevo visto al supermercato e di solito non a facile presa, in bustina e che colorava di giallo, in genere il riso. Allora incomincio a studiare frequentando la biblioteca della Facoltà di Agraria, visito aziende che lo coltivano e mi iscrivo ad un corso sulla commercializzazione dello zafferano. Più ne conosco la storia e più ne sento il fascino e la vicinanza al mondo femminile. Servono mani delicate per mondarlo, serve tenacia per coltivarlo, tante sono le insidie: roditori, malattie…
Dal 2009 questa passione non mi ha mai abbandonato, così negli anni mi sono sbizzarrita usando lo zafferano per colorare i tessuti e in cucina, sperimentando produzioni artigianali quali la birra allo zafferano e il sale di un produttore locale aromatizzato allo zafferano. E ancora, insieme ad un cioccolatiere trapanese: cioccolato bianco allo zafferano e dolci alle mandorle, compresa una rivisitazione della frutta martorana classica.
Cosa mi ha dato questa spezia? Mi ha dato una conoscenza che è diventato sapere, mi ha piegato, educato al ritmo della natura, quando a far le regole non sei tu ma nel periodo estivo il caldo che secca le zolle e devi lavorarle prima che sia troppo tardi se vuoi piantare i bulbi e nel periodo autunnale guardi il cielo, attenta che quella pioggia sia una benedizione e ti permetta di andare sul campo a raccogliere i fiori.
Quella fioritura che ha il fascino del mistero, dell’inaspettato, perché non la puoi prevedere, dura una ventina di giorni a novembre: inizia con pochi fiori al giorno, poi ha dei picchi e termina infine con delle fioriture più sporadiche. L’attendi, vai al campo, pulisci l’erba con scerbatura a mano lungo i filari, vedi le spate bianche come perforare la terra e affiorare e poi una mattina ti trovi il terreno invaso da fiori, i giorni del “manto” li chiamano in Spagna. Così inizi a chiamare gli amici che vengano a darti aiuto per raccogliere e mondare, perché la campagna è anche collettività, comunione. Servono tante mani, tanti cesti pieni di fiori e sento mio padre che se la ride da lassù.
Ogni giorno una fioritura nuova, ogni giorno i fiori vanno mondati ed essiccati entro sera, che siano una decina, poche centinaia o migliaia. Ti avvii verso il campo sapendo che potrai andare incontro ad una delusione o ad una esplosione di “lavoro” e quando il periodo di raccolta finisce, ti pervade quasi un senso di nostalgia per quel periodo frenetico, così raccogli gli ultimi pochi fiori sapendo che dovrai aspettare un intero anno prima che il miracolo si ripeta. Il resto dell’anno è lavoro di pulizia dalle erbacce, leggera concimazione e lavorazione del terreno. Ma dentro di te conservi viva la gioia di quella fioritura che ti appare inaspettata, come il sorriso di un bambino.
LO ZAFFERANO DAL PUNTO DI VISTA BOTANICO E DELLA COLTIVAZIONE
Lo zafferano (Crocus sativus) dal punto di vista botanico è un cormo o bulbo-tubero, che vuol dire qualcosa di più di un bulbo, è una madre che genera dei figli. Nel Crocus sativus L. non si formano i frutti e i semi, perché è un triploide sterile, si riproduce perciò solo per via vegetativa. Dal bulbo madre si generano più bulbilli che si accrescono durante il ciclo vegetativo della pianta. Non si trova quindi in forma spontanea ma solo da coltivazioni. Diffidate di altro Crocus che potete incontrare andando per boschi e prati, in Italia sono presenti tipi altamente tossici – è facile riconoscerli – ma lo zafferano buono ha 3 stimmi lunghi rossi e 3 stami gialli, quello tossico 6 stami ed è chiamato Colchicum autumnale o zafferano “bastardo”.
In genere l’impianto può essere annuale o triennale (com’è preferibile da noi), i bulbi si impiantano nel periodo estivo con espianto a maggio-giugno facendo una selezione e scartando quelli malati o troppo piccoli. Se si vuole, si applica un trattamento col rame per prevenire eventuali attacchi batterici ed in seguito si ripianta entro settembre, possibilmente in una zona diversa dal primo impianto, così da permettere una ricarica degli elementi nutritivi del terreno. Si fa una lavorazione più profonda, si rimuovono le zolle e si lascia che il sole sterilizzi il terreno con la sua azione che segue l’antica pratica della “solarizzazione”. Questa operazione serve a diminuire l’azione delle erbe infestanti e quella di alcuni batteri presenti nel terreno, che potrebbero far andare i bulbi in marcescenza. L’espianto periodico dei bulbi serve anche a ripristinare un distanziamento fra i bulbilli che nel ciclo vegetativo successivo si erano ingrossati, ecco perché le aziende che producono zafferano vendono anche bulbi di Crocus sativus. Dopo la raccolta, i fiori mondati (tolti i tre stimmi rossi) vengono riportati l’indomani all campo e sparsi sul terreno, perché ricchi di polline prezioso per le api che nel periodo autunnale non hanno tanti fiori a cui attingere.
Per chi volesse approfondire, si rimanda al testo Libro bianco: Zafferano in Europa, problemi e strategie per valorizzare la qualità e migliorare la competitività, reperibile online e di pubblica consultazione gratuita.
LO ZAFFERANO NELLA STORIA E NELLA MITOLOGIA
La specie è originaria dell’Asia Minore ed è conosciuta da millenni, si trovano riscontri del suo impiego su papiri egizi del 1550 a.c. e in pitture del palazzo di Knosso a Creta (XVI sec. A.C.) raffiguranti dalle sacerdotesse durante la raccolta. Lo zafferano viene inoltre citato nella Bibbia, all’interno del Cantico dei Cantici IV, 14: “…nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie d’alberi da incenso, mirra e aloe con tutti i migliori aromi”. La mitologia greca ne attribuisce la nascita all’amore ricambiato di un bellissimo giovane di nome Crocus per la ninfa Smilace che però era la favorita del dio Ermes. Il nume, per vendicarsi di Crocus, trasformò il giovane in un bulbo.
Omero, Virgilio e Ovidio ne parlano spesso nelle loro opere, ad esempio nel IX e XII libro dell’Illiade si narra di come Isocrate facesse profumare i guanciali con zafferano prima di andare a dormire e di come le donne troiane lo usassero per profumare i pavimenti dei templi. Cleopatra in Egitto ne valorizzò molto l’uso come profumo e per avere una pelle dorata faceva addirittura il bagno con lo zafferano, mai che si lavasse con semplice acqua e sapone!
Negli empori di cosmetici di Gerusalemme lo zafferano era venduto per realizzare profumi sacri destinati all’uso liturgico, in quanto si riteneva che il suo profumo aiutasse a far giungere la preghiera a Dio e la sua polvere, unita a l’Henné, veniva utilizzata per dipingere il viso.
È quindi stata sempre ritenuta una specie preziosa, con un ruolo importante negli scambi commerciali, grazie ai suoi molteplici usi: da pianta tintoria di tessuti di pregio a officinale e aromatica. Durante l’impero romano aumentò la produzione di zafferano, perché il lusso dell’epoca diede al croco una notevolissima importanza, facendogli assumere il ruolo di “status symbol”, usato per profumare le abitazioni e i bagni imperiali fino alla caduta dell’impero, quando diminuì anche il suo uso, relegato soprattutto in campo medico.
La sua diffusione riprenderà nel bacino del Mediterraneo con l’invasione degli Arabi in Spagna, così da croco diventerà za’faran, che significa luce, splendore del sole. E per secoli furono proprio gli spagnoli a detenerne il monopolio commerciale, vietandone le esportazioni e imponendo addirittura la pena di morte a chiunque trafugasse i bulbi di zafferano oltre i confini. Verso la fine del 1200 la coltivazione fu reintrodotta in Italia grazie al padre domenicano Domenico Santucci, nato a Navelli, in provincia dell’Aquila, che visse a lungo al servizio del Tribunale dell’Inquisizione e del quale si dice nascondesse i bulbi dentro un bastone cavo. Ma la Sicilia segue sempre un’altra storia e lo zafferano, grazie agli arabi, era ben presente nelle nostre campagne e sulle nostre tavole, come l’antichissimo formaggio pecorino a pasta gialla: il piacentino ennese.
Lo zafferano è una pianta attualmente coltivata prevalentemente in Iran per il 90% e per il restante in India, Spagna, Grecia, Marocco e Italia, dove su tutto il territorio si sono diffuse piccole aziende ma di alta qualità, più note sono quelle in Sardegna e del distretto Aquila e Montefeltro.
LO ZAFFERANO E LE SUE STRAORDINARIE PROPRIETÀ BENEFICHE
La combinazione di safranale, crocetina e crocina donano allo zafferano delle proprietà benefiche decisamente inaspettate e molto interessanti, ad esempio non molti sanno che lo zafferano agisce sul sistema nervoso con effetti positivi sull’umore e che aiuta significativamente a combattere i sintomi depressivi, addirittura quasi quanto i farmaci, come dimostrano studi condotti a riguardo. Per le stesse proprietà della crocetina è anche di grande aiuto per le donne che soffrono di sindromi premestruali particolarmente dolorose e, stimolando la produzione di dopamina e serotonina, è ottimo anche per quelle persone che soffrono d’insonnia. Migliora la capacità di memorizzare ed apprendere grazie all’altra concentrazione di potassio e fosforo e allevia spasmi intestinali e tosse, oltre che risultare benefico per la lotta contro l’invecchiamento cellulare, contrastando i radicali liberi. Inoltre lo zafferano frena una grave e rara malattia della vista, la sindrome di Stargardt, una degenerazione ereditaria della ‘macula’, il centro della retina.
La medicina cinese e la moderna fitoterapia usano lo zafferano per le sue proprietà disintossicanti, gli effetti depurativi e antinfiammatori sono sfruttati anche dalla medicina indiana che prevede questa spezia in molti piatti, allo scopo di favorire la digestione e prevenire le infezioni intestinali. Pur regalando alle pietanze bontà e sapore, lo zafferano ha il grande pregio di non aggiungere grassi e di fornire pochissime calorie, infatti l’apporto calorico di questa spezia è praticamente nullo. Lo zafferano dà il meglio di sé in piatti a base di riso, crostacei e frutti di mare, carni bianche in umido come pollame, coniglio e vitello. È indicato anche per esaltare condimenti di verdure dal gusto più tenue, come quelli con le zucchine o il radicchio, ne basta infine un pizzico nell’impasto di dolci lievitati, biscotti, creme o gelati.
La salute ne avrà beneficio e i piatti si aromatizzeranno di un gusto particolarissimo e un colore dorato che rimanda alla luce del sole. Non a caso proprio il 13 dicembre per Santa Lucia – giorno più buio dell’anno – si evoca la luce del sole attraverso la tradizione culinaria, in Sicilia con le arancine e i Lussekatter, dolci svedesi noti anche come Gatti di Santa Lucia, morbidi dolcetti allo zafferano e uva passa, la cui forma ricorda la coda arrotolata di un gatto.
COME UTILIZZARE LO ZAFFERANO IN CUCINA
BUSIATA CARCIOFI E ZAFFERANO
PROVA L’ORIGINALE RICETTA DI NINO D’AMBROGIO, CHEF DELL’AGRITURISMO VULTAGGIO DI GUARRATO
https://www.misiliscemiweb.it/2022/11/busiata-carciofi-e-zafferano/
© Tutti i testi e le foto inseriti nell’articolo (eccetto per le immagini da fonte Wikimedia e Pixabay) sono state concesse dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati, è vietata la riproduzione anche parziale, salvo esplicita approvazione da parte dell’autrice.