Marilena Asta e Lavinia Patti


Giuseppe Martinico, da tutti conosciuto come il Maestro Martinico, nasce il 25 febbraio 1917 a Locogrande, una delle contrade di Misiliscemi ed è il quarto figlio dopo tre sorelle più grandi. Sin dalla giovane età, a circa 16 anni, mostra interesse per la pittura ed inizia a studiare da autodidatta, i suoi primi quadri sono riproduzioni ed esercizi. Studia e consegue il titolo di diploma magistrale, iniziando così la sua carriera da maestro solo dopo la guerra, a cui prenderà parte. Il lavoro da maestro lo porta a spostarsi fuori dal territorio di Locogrande, insegnando a Pantelleria dal 1954 al 1955, anno dal quale, a causa di un’aspra critica da parte di un esperto d’arte, interrompe la sua passione per la pittura cominciata negli anni Trenta e che riprenderà in seguito solo nel 1975.

Giuseppe studia l’arte sui manuali e si ispira alla vita contadina che contraddistingue in quegli anni l’ambiente abitativo in cui risiede, il baglio all’interno della proprietà terriera che appartiene alla sua famiglia dal 1849. La critica del 1955 vede la sua arte come slegata dai tempi e non in linea con le correnti contemporanee, infatti, un’opera risalente a quel periodo mostra una gallina e un gallo che si avvicinano l’uno all’altra, quasi in un abbraccio. Dunque, il riferimento al mondo naturale è evidente e la composizione è legata ad una personale osservazione dell’artista del mondo animale che lo circonda. Un’altra opera, che dipinge dal vivo e che riporta la data 1930, ha per soggetto la caratteristica “pinnata”, nome che in dialetto siciliano si riferisce ad una tettoia. Questa, presente davanti l’ingresso del baglio, viene riprodotta dipingendo fedelmente sullo sfondo la vista del monte Erice e in secondo piano un frammento di vita contadina.

Lo stile artistico del Maestro Martinico, è dunque in completo contrasto con l’arte contemporanea del suo periodo che mira ad esaltare l’ingegno dell’uomo, l’artificialità, il progresso, la velocità e che si dedica a decostruire la realtà, come nell’Espressionismo Astratto. La sua arte si concentra, invece, su una realtà tangibile, vera, concreta e, allo stesso tempo, sacra. La sua pittura è indirizzata non solo ad immortalare la vita in equilibrio con la natura, ma anche a celebrare la bellezza del creato. Un elemento da non trascurare, infatti, è la religiosità che sta dietro le opere dell’artista, dal momento che appartiene ad una famiglia molto devota e vicina alla comunità religiosa della chiesa di Locogrande; in particolare è legato al culto Madonna, ampiamente diffuso nel territorio di Trapani.

Essendo l’ultimogenito, si dedica alla cura dei genitori anziani, delle terre, delle proprietà che circondavano il baglio: la sua famiglia è in possesso infatti, di uliveti e vigneti. Alla morte della madre avvenuta alla fine degli anni Cinquanta, ha una crisi e decide di lasciare l’insegnamento per dedicarsi quasi esclusivamente alla pittura. Si ritira dunque al baglio, dove conduce una vita solitaria, caratterizzata da preghiera e attività agricola, dando inizio al periodo più proficuo della sua produzione artistica. 

Intorno agli anni Settanta Giuseppe Martinico organizza diverse mostre all’interno del territorio di Trapani, le principali a Palazzo Cavarretta, Marsala, Erice e Locogrande. In quel periodo, la sua vita è contrassegnata da una malattia che gli provoca gravi dolori alla schiena e deformazioni allo scheletro, problema che non gli permetterà di allontanarsi facilmente dalla propria terra. Nonostante ciò, non perde mai la voglia di essere attivo all’interno della sua comunità, negli anni Novanta la sua casa e il suo giardino diventano un punto di riferimento per i giovani, perché il Maestro mette a disposizione il suo baglio per ritiri spirituali e si occupa anche di insegnare l’arte appresa con tanta dedizione.


Da quel periodo in poi, la sua pittura diventa sempre più sfumata, come a voler sottolineare la fugacità del momento intrappolato nella tela. Ciò è evidente nell’opera che ha per soggetto un ulivo: l’azione del vento che muove la chioma, assume uno spessore così realistico da sembrare la causa delle sfumature dei colori dipinti. Le sue condizioni fisiche si aggravano negli ultimi anni di vita e il Maestro Martinico muore nel 2002, circondato dall’affetto della famiglia e da una rete di persone che lo ammira e lo rispetta.

UN BELLISSIMO RICORDO DELLO “ZIO PEPPINO”

Marco Patti, marito di Marilena, una delle pronipoti del Maestro, lo ricorda in questo modo:
“Non tutte le storie sono uguali, magari si somigliano, altre si allontanano dal percorso ordinario. Non come scelta consapevole, a volte per circostanze impreviste si accede ad una rete di affetti e di interessi che avviluppano l’essere come fosse mosso da un filo invisibile. Zio Peppino, così chiamato affettuosamente dalla famiglia, è rimasto zio Peppino, l’amore e la cura verso i propri genitori non hanno lasciato spazio per una relazione matrimoniale. Ha rigettato la strada dell’insegnamento scolastico appena raggiunto il tempo necessario per andare in pensione, per volgere l’attenzione verso la terra e i suoi prodotti. E in questo angolo di mondo si è immedesimato, rendendolo magnifico, anche attraverso l’attenzione nella cura del giardino. Ha dipinto come un rallentamento il processo inarrestabile delle stagioni. Ha dipinto con amore e dopo qualche delusione ha dipinto per sé e per gli altri. Il maestro di Locogrande, un uomo solitario, dallo sguardo impenetrabile, occhi azzurri quasi glaciali, ma non da cattivo come nei film di Sergio Leone, un uomo legato alla tradizione, al lavoro scandito dal ciclo del tempo. So di averlo conosciuto nella parte della vita in cui a volte il sorriso si svela con facilità, in cui le parole cercano un dialogo. Ogni domenica a pranzo a casa di Salvatore, uno dei nipoti, col quale ritrovava gli antichi rituali, le vecchie connessioni, il sapore lontano di un mondo contadino sepolto dalla coltre della modernità. Ricordo una notte di Capodanno in cui io e mia moglie Marilena ci siamo occupati di comprare ciò che sarebbe servito per il suo “cenone”, evento che aveva deciso di passare in solitudine, relegato nel silenzio della campagna. Una lista della spesa molto precisa e particolareggiata, che ancora conserviamo con affetto e che tra le altre cose, riportava le castagne del prete, un dettaglio mitigato dalle pietanze consolidate. Viveva così, trascorrendo su un terrazzino le ore diurne e su un altro quelle pomeridiane, costretto dalle sbarre, per la paura di intrusioni impreviste. Incrollabile, con un bastone che ritornava utile nella deambulazione fatta di lenti ondulamenti. Sempre pulito, sbarbato, in ordine nel suo vestiario dignitoso. Accanto alla tavolozza Famiglia Cristiana e un’intesa tra la natura ritratta e una lode a Dio, rinsaldata dalle letture religiose. Legato ad una fede giusta, non fanatica, di quelle che ti hanno guidato per tutta la vita, con cui hai discusso e dalla quale sei stato condotto fino a giungere alle soglie dell’Eterno”.


Un breve video tratto da un VHS inedito realizzato agli inizi degli anni Novanta da Giuseppe di Giovanni, uno dei nipoti del Maestro Martinico recentemente scomparso. Vediamo il Maestro immerso nella quiete del suo giardino e alcuni scorci dell’interno del baglio di Locogrande dove ha trascorso tutta la sua vita, tra le sue tele, i suoi colori e i suoi pennelli.

LA FEDE DEL MAESTRO IN UNA PREGHIERA RITROVATA

IL BAGLIO DELLA FAMIGLIA MARTINICO

Uno studio del baglio realizzato da Lavinia Patti, figlia di Marilena Asta, pronipote del Maestro Martinico facente parte di un progetto universitario sugli interni delle abitazioni familiari, volto a sottolineare il trascorrere del tempo.

Tags: