Alberto Barbata 
Testi tratti da “Misiliscemi – Un manzil arabo alle porte dell’antica Itrabinis”       
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Un ringraziamento all’autore e alla famiglia Sanacore per averne consentito la pubblicazione su Misiliscemiweb 

Le prime notizie certe del feudo di Misiliscemi sono riscontrabili nel “Capibrevi” di Giovan Luca Barberi, scritto agli inizi del XVI secolo. Il Barbieri era il Procuratore fiscale e ufficiale della Cancelleria, al servizio del governo vicereale di Sicilia, al tempo di Ferdinando il Cattolico. La sua opera, per circa tre secoli, pur non essendo stata dichiarata atto ufficiale dello Stato, è rimasta la fonte più autorevole per la soluzione delle difficili e contorte questioni di diritto feudale in Sicilia e fu utile spesso a smascherare situazioni di fatto illecite, nell’interesse ovviamente del pubblico erario. Nell’esame storico-giuridico dei feudi del Val di Mazzara, il Barbieri traccia un profilo ben definito del feudo di “Michilixemi”, un antico “tenimentum” di origine araba, legato alla storia della famiglia trapanese “de Sigerio”, una delle più potenti della città, che più tardi, nel secolo XVII, avrebbe assunto il “cognomen” di Sieri Pepoli, in ricordo delle illustri origini bolognesi. 

Il feudo di Misiliscemi, insieme alla Signoria del feudo del Culcaso o Mangiadaini e alla baronia di Mixilixarari o Fontanasalsa (già feudo di Mihilcarari), investe, per alleanze matrimoniali e politiche, il destino e le fortune di un gruppo di famiglie trapanesi, importanti nella storia siciliana, dall’età federiciana al periodo aragonese. I documenti citati dal Barbieri e poi ripresi nel XX secolo dal San Martino De Spucches, nella sua “Storia dei Feudi siciliani”, riportano concessioni, investiture, ribellioni, confische, revisioni fiscali che investono la storia familiare degli Emmanuele o “de Manuele” e dei Fisaula per il Culcaso, concesso da Re Giacomo, nel 1826, in considerazione dei servizi resi alla Corona da Ruggero Emanuele, dopo averlo tolto per confisca al ribelle Simone de Calatasimo (o de Calatafimi). Invece per il feudo di Misilxarari, le vicende storiche hanno inizio già fin dal tempo di Federico II che lo concesse a Dampuo Garzieperis de Ballihari nel 1222, per culminare, alla metà del Trecento, nelle mani dei Passaneto, cui venne riconfermato più volte “jure francorum” come feudo, con l’obbligo del servizio militare di un cavallo armato, per ogni venti onze di reddito.

Così anche per Misiliscemi, sono riportati diversi passaggi dovuti ad alleanze matrimoniali o a ribellioni e conseguenti confische. Una notizia interessante, certamente risalente ad antichi documenti e cronache perdute, viene riportata negli Annali del Parroco Giuseppe Fardella, il quale racconta che Re Federico III, l’assertore della libertà e dell’autonomia politica dei siciliani, concesse nel 1319, a Sigerio “de Sigerio”, “li feudi di Misilixemi e Maxellisimit nel territorio di Xacca che prima furono di Ugone Talac, regio cavaliere di Mazara per li servizi prestati nel tempio dell’Assedio di Trapani“. La notizia confermerebbe la fedeltà risaputa agli aragonesi da parte dei trapanesi, fin dal tempo dell’arrivo di Re Pietro nel porto di Trapani nel 1282 e la conseguente e continua difesa della città e del suo territorio, durante i postumi della Guerra del Vespro, tra le forze angioine di Re Roberto e quelle siciliane. Non solo troverebbe conferma la fedeltà di Trapani e quindi di famiglie importanti come i Sigerio, ma anche la notizia, riportata dal Pugnatore della sua “Istoria di Trapani”, della distruzione dei due casali di origine araba “Castellazzo e Misilichemi”, durante le scaramucce dell’assedio del 1317. Tutta la costa del trapanese, fino a Marsala e le campagne vicine alla città di Trapani, furono messe a soqquadro più volte in quegli anni terribili e funesti della storia siciliana, soprattutto dopo la sconfitta, subita dagli angionini, nel dicembre del 1299, ad opera degli aragonesi, durante la battaglia della Falconeria, che si svolse nella pianura trapanese, ad appena un paio di miglia da Misiliscemi verso Marausa.

I feudi sopracitati, a sua volta frammentati, perverranno, lungo il corso del secolo XIV, dalle mani dei Sigerio a quelle dei Passaneto e da quest’ultimi di nuovo tornarono nelle mani dei vecchi feudatari nel dicembre del 1372. Il Barbieri riferisce, nel suo latino curiale, che tali feudi, al tempo dei Martini, si trovavano in possesso di Don Riccardo de Sigerio, al quale furono confiscati “ob illius rebellionem”. Misiliscemi, a sua volta, fu concesso nel 1393 al cavaliere mazarese Antonio de La Penya. […]

Al tempo del Barbieri, nel 1522, Misiliscemi apparteneva a Giacomo de Sigerio, discendente diretto di Riccardo, costretto a condurre una battaglia legale con l’erario che sosteneva che molti dei territori in possesso della nobiltà siciliana, non erano burgensatici o di proprietà allodiali, ma dei veri feudi con relative investiture, non onorate nel tempo di quanto dovuto a livello fiscale verso la corona. Il de Sigerio sosteneva che Misiliscemi era una proprietà fondiaria, si direbbe oggi, privata e non soggetta a tasse per investiture regie, una condizione certamente auspicata dalle famiglie per una libertà finanziaria che consentisse di potere giostrare a piacimento, per ogni evidenza o bisogno. Non occorre ricordare che trattasi di grandi estensioni di terre, per diverse centinaia di salme dell’antica corda di Monte San Giuliano. Comunque siano andate, successivamente, le cose tra la famiglia de Sigerio o Sieri Pepoli e il fisco, è giusto ricordare che quest’ultima usufruì del Culcaso, di Misiliscemi, di Fontanasalsa e tanti altri possedimenti a proprio piacimento e ciò nel corso di diversi secoli, fino alla fine del sec. XIX. D’investitura in investitura, in continue alleanze matrimoniali con le più importanti famiglie della capitale come i Trigona nel Seicento, i Notarbartolo Santostefano, i Ventimiglia e i Lucchesi Tomasi Naselli nel secolo XVIII ed infine i Moncada Branciforte nel secolo scorso, di cui campeggiano ancora sulla torre antica e nell’arco d’ingresso del baglio, le armi, adorne delle corone nobiliari. Alla fine dell’Ottocento il feudo ritorna, per alleanza matrimoniale, nella città di Trapani, ai parenti degli ultimi Sieri Pepoli, ormai in estinzione, e precisamente nelle mani degli Adragna d’Altavilla, i quali nel corso di questo secolo, a simiglianza di altre famiglie, per gli eventi economico-politici che si sono verificati, frammenteranno la loro grande proprietà fondiaria che oggi, per quanto riguarda Misiliscemi, si ritrova in larga parte riunita in potere della famiglia Francesco Sanacore.


MISILISCEMIIL MANZIL ESCEMMU

Il toponimo di Misiliscemi ci rimanda a quella fitta serie di “Manzil”, di cui era punteggiata la Sicilia durante il periodo Arabo. Trattasi in vero, letteralmente, di “luoghi di sosta dove si scende da cavallo”, probabilmente casali abitati da poche famiglie. Il “Manzil-al-Escemmu” sorge appena dietro la cintura di espansione urbana dell’antica Itrabinis araba ed è stato protagonista di fatti militari della storia siciliana, durante la guerra del Vespro, nonché delle vicende familiari delle più importanti famiglie che hanno segnato la storia della città capoluogo, per lunghi secoli. Sui “Manzil” la storiografia ci è stata avara, così come sui toponimi arabi dell’estrema punta della Sicilia occidentale non esiste alcun studio specifico, all’infuori delle ricerche locali lodevoli, ma incomplete. […]

Giuseppe Palermo Patera, nella sua “Palermo araba”, parlando della conquista e delle felici intuizioni culturali e amministrative di quel periodo cita, tra le altre cose, la rete di Manzil (mansiones, casali) e Rakhal (sia stazione di posta, sia centri di acclimatamento agricolo) che copriva la Sicilia ed era indice di elevato sviluppo civile. Illuminato Peri, descrivendo i tipi e la distribuzione degli abitanti dall’XI al XIII secolo, dice con molta chiarezza che essi “si distinguevano non agevolmente da castelli o rocche presidiate da contingenti armati o da discendenti da non cospicui gruppi familiari o tribali nei cui pressi si estendevano abitati modici con i quali dividevano il nome e nel cui territorio rientravano rahal o mensil (casalia nella terminologia romanza) nei quali risiedevano poche famiglie”.


Sul numero dei casali, Peri ipotizza che nulla autorizza una densità di popolazione sviluppata, né che il paesaggio siciliano fosse movimentato da un reticolo di minuti stabilimenti rurali. Tuttavia, sul versante sud-ovest del territorio degli odierni Trapani e Paceco, si estendono ben otto territori, di cui tre autentici “manzil” e i cui toponimi rimandano ad arabismi tipici delle lingue neolatine. I “manzil” sono Misiligiafari, Misilcharari (Fontanasalsa nel tardo medioevo) e Misiliscemi […], mentre gli altri luoghi di rilevante importanza storica sono Kinisia (“chiesa”) che comprende il toponimo tardo di Rilievo, Ballotta (“quercia”), Marausa (“pascolo povero”), Nubia (terra d’oro) e Xitta (“luogo sabbioso o paludoso”). 

Ma occorre tener presente, come ben fa rilevare il Maurici, che “dal punto di vista topografico ed archeologico, le conoscenze sul casale siciliano dei secoli XI-XIII, sono ancora molto limitate, anche perché i pochissimi scavi medievali fino ad ora intrapresi, hanno interessato soprattutto insediamenti o edifici fortificati. Non possediamo in effetti nessun esempio chiaro di evoluzione e passaggio dal rahal pienamente musulmano al casale di età normanna”. Certamente è verosimile per molti casi una continuità topografica e strutturale immediata e priva di rotture, sostiene Maurici, e per altri casi si può pensare ad uno scadimento e ad una sotto qualificazione di abitanti musulmani muniti nella categoria inferiore dei casali, forse anche attraverso lo smantellamento di eventuali opere difensive. Effettivamente il Maurici, riprendendo la tesi di H. Bresc al convegno di Cuneo del 1981, fa rilevare, sulla base di alcuni esempi, una probabile ipotesi che “altri abitanti forti, almeno per sito, d’età musulmana, declassati nel successivo ordine normanno, abbiano però mantenuto la loro posizione eminente e naturalmente protetta; e di fatto ad alcuni “castellucci”o “castellazzi” della toponomastica, corrispondono insediamenti identificabili con rihal o manzil documentati dalle fonti”.

LA TORRE E IL BAGLIO DI MISILISCEMI

Oggi, la torre e il baglio di Misiliscemi, sono parte della struttura ricettiva Tenuta Fratelli Sanacore.
I primi documenti scritti che ne raccontano la storia, risalgono al XVI secolo, ma le date dei pozzi arabi, presenti all’interno del territorio appartenente all’originario baglio, risalgono all’anno Mille. Per conoscere la storia di questo bellissimo Manzil, rimandiamo all’articolo che segue:
LA TORRE E IL BAGLIO DI MISILISCEMI