Cristina Martinico

Il “curàtulu”, era nel passato, colui che si occupava di vigilare sull’operato e di coordinare il lavoro di braccianti, pastori e contadini che lavoravano per i ricchi proprietari dei tanti bagli sparsi per le contrade di Misiliscemi. Solitamente, viveva insieme alla propria famiglia in una casa adiacente o in una zona a lui riservata, all’interno delle antiche fortificazioni rurali o delle ville di campagna di nobili o ricchi proprietari terrieri. Questi, si trasferivano a vivere in campagna, solo in determinati periodi, sopratutto in estate, per trascorrere insieme alla famiglia un periodo di villeggiatura in mezzo alla natura e per fuggire dal calore delle residenze di Trapani e dintorni; solo il “padrone” tornava spesso per seguire ciò che accadeva nella propria tenuta, anche se della gestione si occupava, appunto, il “curàtulu”.


Il ruolo che questo curatore di beni terrieri aveva, era molto importante, perché era a capo dell’organizzazione di tutte le operazioni necessarie a far si che i campi fossero seminati, arati e coltivati per rendere al meglio. Si occupava anche di coordinare tutte le fasi delle raccolte stagionali e pagare il salario ai braccianti, dunque, il suo compito era anche quello di amministratore. Una figura degna di rispetto, sia da parte dei proprietari dei beni, che da quella dei lavoratori, specialmente i meno fortunati economicamente, ai quali spesso dava opportunità di un impiego stagionale o anche annuale. Il “curàtulu” era soprattutto depositario di grande fiducia, perché dai racconti, sappiamo che alcuni di loro ricoprivano questa carica anche per trenta, quarant’anni e capitava anche che passassero poi il proprio ruolo a uno dei figli. 

In tutti i bagli viveva un “curàtulu” con l’intera famiglia, il suo compenso consisteva in parte di un pagamento in denaro e in parte in beni agricoli, quali vino, olio e frumento. Con il trascorrere del tempo e riuscendo ad accumulare somme di denaro, questi curatori acquistavano appezzamenti di terreno e li donavano ai figli quando si sposavano, perché lì vi costruissero le loro case. Alcuni “curàtuli” sono stati in grado di diventare a loro volta proprietari di molti ettari di terreno, spesso acquistati nelle zone limitrofe ai bagli. A tal proposito, lungo le strade di alcune contrade di Misiliscemi, è facile trovare ancora il susseguirsi di case appartenenti a parenti stretti, oggi abitate dai discendenti di quelli che ottanta o cent’anni, fa erano stati quattro o cinque fratelli. 

Uno dei “curàtuli” del territorio di Misiliscemi, che ha ricoperto questo ruolo dal 1929 ai primi degli anni ’60 del secolo scorso, è stato Stefano Cusenza, nato a Guarrato e trasferitosi presso Villa Solina a Pietretagliate per assumere questo ruolo. Una bellissima dimora risalente al 1700 e appartenente a quei tempi a Pietro Solina, discendente di una storica famiglia borghese di Trapani. Stefano, era sposato con Francesca Galia, per tutti Ciccina, dalla quale ha avuto quattro figli: Rosa, Lina, Nino e Totò. A parte Rosa, che oggi ha novantaquattro anni, tutti gli altri fratelli sono nati presso la “casa del curàtulu”, adiacente alla costruzione residenziale della villa, ed è proprio la simpaticissima Rosa a parlarci dei bellissimi ricordi legati al lungo periodo trascorso in quei luoghi speciali, perché immersi in un bellissimo ed immenso giardino, a quei tempi molto curato e ricco di piante, fiori e diversi tipi di alberi

Come lei stessa racconta: “C’erano dei bellissimi giardini, con alberi di arance, mandarini e cedri; ma anche melograni, mandorle e pistacchi. I ‘padroni’ hanno abitato lì per un periodo durante la guerra, insieme alla servitù, ricordo che in quell’occasione veniva da Palma una donna, ‘a za Jaca, che si occupava della lavanderia. Noi bambini giocavamo all’interno del giardino usando le pigne dei pini come palla, avevamo l’altalena e, come a quei tempi si usava, delle bambole di pezza fatte in casa. Mia madre era appassionatissima di lettura, soprattutto di romanzi e spesso stavamo ad ascoltarla mentre ce li leggeva, seduti al fresco sotto uno dei grandi alberi del cortile d’estate o alla luce di una candela nelle sere in inverno. A volte poi, passavamo il tempo ‘munnànnu fave’, ci divertivamo anche con queste cose semplici, che erano utili per la famiglia. A Villa Solina c’era una grande cantina, la stalla con gli animali e una ‘gebbia’ sempre piena d’acqua. Mi ricordo di un bellissimo roseto, salici e pini, un posto davvero meraviglioso dove potevamo vivere in tranquillità, anche durante il periodo della guerra. Mio fratello, diventato più grande, aveva la camera da letto ricavata dalla piccola cappella sconsacrata che si trovava all’ingresso della zona padronale”. 

Rosa, ci fa conoscere aspetti della vita rurale di quel tempo, che forse oggi non ci aspetteremmo, come ad esempio che ad occuparsi della raccolta delle olive, delle mandorle o della vendemmia, erano soprattutto le donne. Arrivavano alla Villa anche da Salinagrande e Palma, con bambini a seguito e aiutavano moltissimo nel lavoro, perché gli uomini erano impegnati anche nei campi. Nei periodi di maggior lavoro, c’erano sempre intorno a venticinque lavoratori e lavoratrici, spesso coppie di sposi che venivano assunte in base alle necessità del periodo. Il padre, così come tanti “curàtuli” facevano, aiutava spesso la gente più povera, soprattutto durante il periodo del conflitto, quando per le campagne di Misiliscemi, molte famiglie non avevano di che sfamarsi. Stefano, oltre ad impiegare padri di famiglia a volte disperati, regalava loro prodotti agricoli per sfamare i figli, che spesso nelle famiglie di quel tempo, potevano anche arrivare ad essere una decina. 

Talvolta, a Villa Solina arrivava anche un pescatore di Nubia, un certo Culcasi che portava pesci freschi con cui preparare la “ghiotta”, alla famiglia Cusenza non mancava nulla per fortuna, così come racconta Rosa: “Bastava andare nei campi vicini coltivati, lì potevamo trovare verdure e ortaggi a volontà per preparare da mangiare. Mia madre usava indossare un grembiule con una tasca enorme, che riempiva di asparagi, cicoria e altri prodotti della terra. C’era pure un pollaio a cielo aperto, lei era innamorata delle sue galline, ne aveva tantissime e le trattava come animali domestici, quindi ogni volta che doveva usarne una per il brodo era una tragedia!”. E continua: “La domenica mio padre andava con il carrozzino dai ‘padroni’ a Palazzo Solina, di fronte Villa Margherita a Trapani, per portare loro la frutta, e altri prodotti della terra, specialmente le primizie. Mia sorella Lina, piccola, era sempre pronta per andare con lui, perché le piaceva moltissimo fare questo viaggio verso la città. Poi, prima di tornare a Pietretagliate, mio padre comprava sempre mezzo chilo di pesce da portare a mia madre, che lo preparava friggendolo”. Visto che la famiglia Cusenza viveva in un luogo così bello, capitava spesso che i parenti li raggiungessero per passare insieme le giornate di festa, quindi per il pranzo di Natale, di Pasqua o Ferragosto. Anche se erano molto numerosi, riuscivano sempre a far entrare tutti nelle casa del “curàtulu”, l’intera famiglia, come ricorda Rosa, era molto unita e trascorreva spesso momenti in allegria: “La sorella di mia madre, era una fervente socialista e durante il periodo delle elezioni saliva su una sedia e iniziava a fare comizi. Invece, un altro zio aveva l’abitudine di andare ad assaggiare più volte il brodo mentre cuoceva, finché a volte non rimaneva quasi più carne da mangiare al momento del pranzo”. 

Con il passare degli anni, Rosa e i suoi fratelli si sono sposati, lei e Lina con i fratelli Salvatore e Giuseppe Chirco, restando entrambe ad abitare a Pietretagliate e continuando così a recarsi a Villa Solina anche tutti i giorni, oltre che per le riunioni familiari e in occasione delle feste, facendo si che pure i loro figli trascorressero del tempo in quei bellissimi luoghi. Anche Nino e Totò si sono sposati e per lavoro sono andati a vivere fuori da Misiliscemi, uno a Palermo e l’altro nella vicina Paceco. Come racconta Rosa ridendo e ricordando il passato: “Pensavo, ma oggi cosa preparo per pranzo? Vado al pollaio di mia madre e cucino il brodo!”, in pochi minuti arrivava a Villa Solina e tornava a casa portando con sé il delizioso bottino, con grande dispiacere di Ciccina, che con l’incursione della figlia aveva perso una o due delle sue adorate galline. Andando in pensione, Stefano e Ciccina si sono poi trasferiti a Paceco, lasciando così i bellissimi giardini in cui hanno vissuto per trent’anni. Ma è grazie alle tante foto che hanno avuto modo di scattare e alla cura e l’amore con cui mamma Ciccina le ha sempre conservate, passandole poi a Rosa, che in questi ultimi cinquant’anni le ha sempre custodite, che oggi sono arrivate anche a noi. Rare testimonianze che vanno dagli anni ’30, agli anni ’60 e che ci mostrano momenti di vita trascorsi alla villa da tre generazioni.

Il “curàtuluStefano, che ormai non c’è più, ha tutt’oggi figli, nipoti e pronipoti ancora abitanti di Misiliscemi, residenti in diverse contrade, a testimonianza del fatto che il legame della famiglia con questi luoghi è rimasto forte. E Rosa, con i suoi bellissimi racconti, ci porta a conoscere una realtà importante del passato, che è certamente rimasta viva nella memoria di tanti uomini e donne che, come lei, hanno avuto la fortuna di trascorrere parte della loro esistenza abitando luoghi che oggi, per il loro valore e la loro unicità, sono ritenuti beni storici da tutelare. Come patrimonio unico e insostituibile sono gli anziani di Misiliscemi, perché è grazie ai loro racconti – fatti di vite ed esperienze vissute in prima persona – che possiamo ricostruire la storia e l’evoluzione delle contrade. Le famiglie, sono state parte viva e attiva nella creazione delle comunità di cui oggi ci ritroviamo a far parte e che, come eredi, dobbiamo continuare a custodire, per poterle a nostra volta raccontare alle generazioni che verranno.

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