Lina Novara

La chiesa di Rilievo, frazione del Comune di Misiliscemi, è dedicata a Maria SS. di Trapani, la cosiddetta “Madonna di Trapani”, venerata nel Santuario dell’Annunziata, retto dai Frati Carmelitani. La chiesa di Rilievo venne fondata agli inizi del secolo XX per volontà degli abitanti della frazione, su un terreno ed un piccolo edificio donati da Don Carlo Valenti. Al suo interno si conserva una statua lignea, dello stesso periodo della fondazione, che riproduce il simulacro marmoreo di Trapani.

La tradizione

Sull’origine della statua della Madonna di Trapani, sul suo autore, sul suo arrivo a Trapani si è tanto detto e scritto, ma la mancanza di fonti certe lascia molti dubbi e la problematica insoluta; tuttavia al fine di trovare un ordine tra le tante notizie pervenute, sembra utile soffermarsi su alcuni   essenziali dati, forniti dalla tradizione. Secondo quanto riferito da un manoscritto in siciliano del 1380, trascritto in italiano circa trecento anni dopo, la statua sarebbe stata realizzata a Cipro nel 733, per poi essere trasportata e venerata in Siria da dove, nel 1244, tre cavalieri templari, sotto la minaccia dei Turchi, l’avrebbero portata via, custodita in una cassa, con una nave veneziana diretta a Pisa, città natale di Guerreggio, uno dei templari. Forti tempeste costrinsero la nave a fare scalo prima a Lampedusa e poi a Trapani dove i tre cavalieri lasciarono in consegna la statua al console pisano, il quale la custodì provvisoriamente nella chiesa della Madonna del Porto (o del Parto, ora distrutta), dove poco prima erano stati ospitati i Carmelitani, giunti a Trapani nel 1238, anch’essi costretti a lasciare la Terra Santa.

Quando la cassa venne posta su un carro trainato da buoi per essere imbarcata alla volta di Pisa, i buoi non si diressero verso il porto, ma verso la zona dell’odierno Santuario. A questo punto della storia, all’ordine dei templari subentra quello dei Carmelitani che verso il 1250 ebbero in dono dal notaio Domenico Ribaldo e dalla moglie Palma, la chiesetta dell’Annunziata e i terreni circostanti, per edificare il convento e una nuova chiesa, i cui lavori iniziarono intorno al 1315. Non sappiamo se fu casuale la presenza dei Carmelitani e della statua nella chiesa della Madonna del Porto, né è possibile avanzare alcuna ipotesi circa eventuali circostanze per cui la statua sia venuta in possesso dei Carmelitani, all’incirca verso il 1250. Emerge però un dato significativo: la chiesetta donata dal notaio Abate era dedicata a Maria SS. Annunziata, dedica che i Carmelitani mantennero per la nuova chiesa e per il convento. L’attuale statua ha l’iconografia della Madonna con Bambino e non dell’Annunziata che tradizionalmente viene rappresentata assieme all’angelo e con il libro aperto nella mano sinistra e la mano destra rivolta al petto. Cosa sia accaduto dopo il 1250 non è dato sapere, ma l’esame stilistico della statua che induce a datarla intorno al 1360, fa ipotizzare che nella lunga vicenda della Madonna di Trapani di statue ve ne siano state più di una. 

La statua

Le leggendarie origini e le miracolose vicende legate all’arrivo per via mare, che hanno tanto interessato gli storici locali perdono significato dinanzi all’esame stilistico e al confronto con opere di Nino Pisano, vissuto tra il 1315 e il 1368, al quale la statua viene attribuita, autore di aggraziate Madonne. Il simulacro, in marmo bianco di Carrara, rappresenta Maria in piedi con il Bambino Gesù appoggiato al fianco sinistro, mentre con la mano destra sostiene la manina sinistra del figlio che appoggia il braccio destro al busto di Lei, afferrandole e chiudendo i bordi del mantello. Il corpo di Maria si sviluppa attraverso una linea sinuosa e assume una posa ancheggiante tipicamente gotica; il modellato è reattivo alla luce attraverso l’andamento diagonale delle curve del panneggio e verticale dato dalla cascata di pieghe che partono dal Bambino. Maria reclina lievemente la testa con una leggera torsione del collo, volgendosi verso il figlio con il quale sembra instaurare un colloquio di sguardi; indossa una veste, quasi completamente nascosta dal drappeggio del manto che l’avvolge creandole sul fianco destro dei giri falcati e concentrici di pieghe: il Bambino, di proporzioni minute, è vestito con una lunga tunichetta che lascia scoperto il piede sinistro. La Vergine ha le labbra sottili e uno sguardo pieno di dolcezza e di mestizia: un leggerissimo velo scende dai capelli, lasciando ampiamente intravedere le lunghe ciocche. 


Le due figure sono perfettamente levigate anche nel retro e sono ancora visibili tracce di policromia e di dorature sui bordi delle vesti. Dall’analisi stilistica risulta che la statua si colloca a buon diritto entro il percorso stilistico di Nino Pisano e che, anzi, viene a costituire un momento di notevole importanza nell’attività dello scultore di cui Vasari dice che cominciò veramente a cavare la durezza dei sassi e ridurli alla vivezza alla vivezza delle carni. L’inclinazione un po’ manierata  della figura, derivante  dalla contemporanea scultura gotica francese – da Nino forse conosciuta tramite i manufatti in avorio – attraverso cui lo scultore dà fluidità alla composizione, il movimento delle pieghe  non troppo condizionato dalle ritmiche cadenze lineari gotiche, l’affettuoso intenso sguardo di Maria, filtrato dalla lezione di Giovanni Pisano, conferiscono all’opera grande naturalezza e umanità  e ne fanno di essa una “ tra le più alte realizzazioni dell’artista”, come la definì lo storico dell’arte Stefano Bottari nel 1956. Qualche rigidità nel giro falcato delle pieghe e qualche incertezza nella resa della mano sinistra non escludono la partecipazione di collaboratori, forse anche del fratello Tommaso, ma non pregiudicano la paternità di Nino e nulla tolgono alla armonia complessiva dell’opera che, a buon diritto, può rientrare tra le migliori che la scultura del ‘300 abbia prodotto in Italia.


Sebbene sia difficile stabilire la cronologia delle opere dello scultore pisano, sembra possibile riferire la statua  alla produzione matura del maestro, ossia all’ultima fase della sua attività  che lo vide impegnato nella realizzazione del gruppo della “Annunciazione” in Santa Caterina a Pisa (completata dopo la sua morte da un collaboratore): con l’angelo annunziante la nostra Madonna condivide la struttura del corpo e del panneggio; alla figura della Vergine l’accomunano il gruppo di pieghe del fianco sinistro, la tipologia del viso affilato e della capigliatura, il ruotare della testa sul collo arcuato, la posa della mano destra, il modellato pittorico delle vesti e anche l’esecuzione un po’ incerta delle mani. Ma è anche nella “Madonna del latte” di Pisa che sembrano potersi ravvisare numerosi collegamenti con la nostra statua, sia per l’impaginazione delle pieghe, sia per i caratteri fisionomici e per il trattamento delle mani e dei capelli di Maria, ad ampie anse parallele; anse che incorniciano il viso e scriminatura dei capelli ritornano inoltre nella “Madonna di Orvieto”, di più robusta composizione, attribuita a Nino e al padre Andrea.

Le copie

La grande devozione che la statua ha suscitato nei secoli e il diffondersi del culto anche fuori dai confini dell’isola ha contribuito alla fortuna di marmorari, scultori in corallo, alabastro e pietre dure, intagliatori e anche alla fortuna della città stessa e dell’ordine carmelitano, soprattutto nei secoli XVII e XVIII. Catalani, fiamminghi, genovesi, cavalieri di Malta, nord-africani e quanti, di vari ceti sociali, orbitarono attorno al porto di Trapani diffusero l’immagine della “Madonna con Bambino” oltre l’Italia e in tutto il Mediterraneo. In tutte le copie sono ripetuti i connotati iconografici della statua di Nino Pisano, come il duplice giro falcato delle pieghe sul fianco destro della Madonna e il panneggio che scende sotto la figura del Bambino, ma sempre diversi e meno aggraziati sono i volti che nessuno degli scultori successivi è riuscito a imitare o a rendere uguale nell’espressione, a quello del veneratissimo simulacro di Trapani. 

Il santuario Maria Santissima Annunziata di Trapani


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