Testi tratti da “Ricerche storiche sulle chiese del territorio di Marausa” (2007)
di Salvatore Giliberti

L’odierno territorio di Marausa è formato dall’ex feudo di Marausa e parte del feudo di Ballotta (Timpone-Ballotta). Delimitato a nord dal torrente Misiliscemi, ad est dalla Strada Provinciale Trapani-Marsala, quella che era la Regia Trazzera e che oggi divide il centro abitato in due (la parte detta Marausa e quella detta Timpone) e confinante a sud con il fiume Birgi, che nelle carte antecedenti il XVII sec. veniva chiamato Acitio. Ad ovest, il territorio di Marausa è delimitato dal Mar Mediterraneo, con costa basi e quasi tutta sabbiosa. Il feudo di Ballotta fu di proprietà della famiglia Burgio di Mazara del Vallo, una delle più ricche della Sicilia e l’area aveva una grande estensione, quella che riguarda la zona di Marausa è la parte detta Timpone-Ballotta

Il nome Marausa è di sicura origine araba, F. G. Arezzo nella sua pubblicazione Sicilia del 1950, ci dice: “Marasi oppure Marausa, voce araba mara’ – à – uzah che vuol dire pascolo povero, pastura scarsa”. Anche i Frati Minori Conventuali di San Francesco d’Assisi in Trapani, nei registri di contabilità e i notai negli atti, prima del XIX sec. scrivevano Marausa con la zeta, nome che poi si è addolcito in Marausa. Non abbiano notizie di chi sia stato il primo proprietario del feudo di Marausa, la prima notizia ce la da nel 1810 il sacerdote G. Fardella negli Annali della Città di Trapani: “Giovanni Di Vincenzo era signore di Marausa, regio familiare e consigliere, castellano della Colombara nel 1448 […] da lui nacque Antonio, signore di Marausa, Fulgatore, Finocchio, regio cavaliere…”. Verso la metà del XVI sec. il nipote di Giovanni, Simone,  non era più citato come signore di Marausa. Sempre dagli scritti del canonico Fardella, si deduce che Simone abbia donato il feudo e la signoria al Convento di San Francesco d’Assisi in Trapani che nel 1638 vi edificarono l’antica chiesa rurale che si trova sulla Strada Torre Marausa che conduce al mare. 

Come ben si sa, tutti i conventi annotavano nei registri le spese giornaliere e le rendite dei beni di proprietà del convento, ma A causa della soppressione delle corporazioni religiose da parte dello Stato italiano del 1866, ci rimane solo un libro mastro del Convento di San Francesco d’Assisi di Trapani. Da quel libro redatto dal reverendo Francesco Scuderi, guardiano del convento dal 1749 al 1766, si evincono le rendite e le condizioni delle concessioni in enfiteusi del feudo di Marausa. Nel 1749 ben quarantacinque famiglie pagavano il censo al convento, tutte nominate nel documento. Le condizioni enfiteutiche erano uguali per ogni concessione, il censo si pagava l’ultimo giorno di agosto di ogni anno, con la condizione che venissero piantate delle vigne e fabbricate delle abitazioni entro cinque anni e che in tempo di vendemmia il convento pagasse un guardiano. Ma se l’enfiteuta era in debito con il convento, il guardiano veniva pagato dall’enfiteuta stesso. 

La parte data in enfiteusi era quella che andava dal torrente Misiliscemi fino al baglio di Marausa, che è la parte più fertile, perché il resto era pianura alluvionale malarica. Nel giro di pochi anni, la parte concessa in enfiteusi era già piantata a vigne e nel 1813-14 c’erano circa duecentomila viti, come si nota dalle Secrezie di Trapani. Le case dei contadini erano piccole, ad archi a sesto acuto e basse. Ancora qualcuna esiste, come le case Azzaro, Daidone, Vaccaro. Se pensiamo a quanto lavoro abbiano fatto questi contadini per trasformare il pascolo povero in terra fertile, per piantare le vigne e senza l’aiuto di un mezzo meccanico, possiamo capire che grande fatica abbiano dovuto affrontare. 

L’abbeveratoio che si trova poco distante dall’antica chiesa, il pozzo detto della “cuba” e la conduttura che conduce ad esso l’acqua, sono di quel periodo di inizi ‘800, anche se riteniamo, visto il nome dato al pozzo, che i due manufatti siano arabi. La strada che dal molo detto “dei parrini”, vicino alla Torre di Mezzo, conduce al baglio e serviva ai frati che arrivando in barca da Trapani, lì si recavano. 

Con la legge del 7 luglio 1876, tutti gli ordini religiosi furono soppressi e il loro beni incamerati dallo Stato. La parte del feudo che non era stata concessa in enfiteusi fu divisa in 36 lotti e venduta, compresi il baglio e la torre campestre. La chiesa rimase al culto divino e se ne presero cura, da allora, quattro deputati che cambiavano ogni anno.


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